Apollo 11
Siamo nel quartiere Esquilino, in una via, la sera, poco frequentata perché priva di locali dove l’edificio più imponente è l’Istituto Tecnico Galileo Galilei, Istituto che rimane aperto fino a tarda ora perché svolge le lezioni serali per gli studenti lavoratori, è una scuola storica a Roma, ci ha studiato anche Marcello Mastroianni. In questo Istituto c’è uno spazio, una stanzona andata a fuoco tanti anni fa e, volutamente lasciata così, con i muri anneriti, il passato che diventa una storia su cui si può scriverne una nuova, quella dell’associazione Apollo 11.
L’associazione è nata nel 2001 dalla volontà iniziale di alcuni abitanti del quartiere, ed in particolare di Dina Capozio ed Ella Catalano, due insegnanti facenti parte del Comitato di Quartiere che promossero una petizione per non vedere il vecchio e storico cinema Apollo diventare una Sala Bingo e poi sostenuta e rilanciata da tanti artisti come gli Avion Travel, Silvio Orlando, Antonio Catania, i Banco del Mutuo Soccorso…
Tante promesse e pochi fatti, così nella sala annerita del Galilei, che si chiamerà poi Piccolo Apollo l’associazione non ha mai smesso il suo lavoro di ricerca e di condivisione di un’offerta culturale veramente alta e veramente altra, impedendo quindi che quel sogno non si realizzasse.
Da allora tante serate di cinema, di musica, di letteratura. Il cinema, non quello delle grandi sale, ma quello poco conosciuto o proveniente da lontano, quello di giovani autori, come ieri sera, un’emozione dietro l’altra.
Mamun Abdullah, cortometraggio “Acqua che non va non torna”, miglior cortometraggio TuttoMondo Contest 2014 – Menzione speciale Detour al Detour on the road film festival 2014. Mamun ha 18 anni, quando ha girato ne aveva 17, cinque minuti intensi di immagini girate sulle rive del Tevere, tra suoni di ali di uccelli in volo, lo sciacquio del fiume con il sottofondo del traffico, le persone, le più diverse, che lo abitano di giorno, scuote qualcosa di profondo, restituendo un’immagine poetica.
«Sul fiume Tevere ogni tanto vado a fare una passeggiata. Mi piace ascoltare il rumore dell’acqua, che si confonde con i ricordi della mia infanzia in Bangladesh, dove un piccolo fiume passava accanto al mio villaggio», Mamun Abdullah.
Seconda proiezione, trentotto minuti, il film-documentario di Alessia Bulgari, Sanitansamble. Il quartiere Sanità a Napoli, una scuola di musica, nove maestri di musica insegnano a bambini e giovani ragazzi.
E Sanitansamble è il nome dell’orchestra da loro composta, 48 elementi. L’arte al rione Sanità sembra essere entrata piano piano, curiosa e giocosa e non essere uscita più. I ragazzi, intervistati, dicono:
ero triste qualche volta, poi ho iniziato a suonare e ora mi sento meglio;
è bello suonare, si sta insieme agli altri e ti dimentichi di tutto il resto, ti concentri ed esiste solo la musica.
Le immagini sono anch’esse musicali, sguardi e sorrisi, battute e poetiche espressioni dei ragazzi, in una stanza durante le prove, su una scala di casa in un quartiere dove le vite e le case sembra si mescolino continuamente.
I ragazzi si preparano per una grande prova, al teatro San Carlo, e la conclusione del film non è il concerto ma il dopo, il movimento dei ragazzi, la loro gioia, l’allegria. Il rapporto umano e la possibilità di farcela nella vita è il tema, la musica è il caso di dirlo, è la colonna sonora.
A cura di Maria Teresa Tomaino