L’OSPEDALE SCOMPARSO. Una storia italiana poco conosciuta: gli ospedali psichiatrici giudiziari
Il 31 marzo 2013 avrebbe dovuto essere una data importante per la chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in base alla legge n. 9 del 17 febbraio 2012 presentata in Senato dall’onorevole Ignazio Marino.
Ma, l’integrazione del decreto legge n. 24 del 25 marzo 2013 ne ha rimandato la chiusura al 1° aprile 2014…
Pochi conoscono la realtà di questi contesti, per metà carceri e per metà ospedali laddove, da più di un secolo vengono rinchiusi i malati di mente autori di reato e non solo.
Il 15 marzo 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, si è tenuta, presso il Liceo Classico “Pilo Albertelli” di Roma, a cura del Comitato dei genitori, una conferenza dal titolo “Storia di compleanni paralleli: i celebri 150 anni dell’Unità d’Italia e quelli poco conosciuti degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”.
In quella occasione la relatrice, Maria Rosaria Bianchi, psichiatra-psicoterapeuta, ha coinvolto gli studenti del Liceo nel racconto di un intreccio tra la storia del Diritto Penale e della Psichiatria e la sua esperienza umana e professionale di quando, nel biennio 1996-1998, era direttore dell’O.P.G. di Aversa.
Quel pomeriggio però è stata raccontata una storia molto triste, molto italiana e molto poco conosciuta, con corredo di filmati e testimonianze.
Quello del 1996-1998 è stato un momento storico di grande speranza; due anni di grande lavoro in cui si avviò in Italia il processo di de-istituzionalizzazione degli O.P.G.; erano in molti all’epoca, dal personale sanitario, parasanitario, amministrativo e penitenziario fino alla Magistratura di Sorveglianza, a lavorare con la chiara intenzione di sostenere e promuovere il passaggio dal Sistema Sanitario Penitenziario al Sistema Sanitario Nazionale. Anche per sanare un vulnus creato dalla Legge 180 che escludeva i manicomi giudiziari dai dettami di legge che prevedevano la chiusura solo dei manicomi civili. Anche in politica furono presentate proposte di legge che davano la speranza di un possibile superamento di questa istituzione: il disegno di legge della Fondazione Michelucci della Regione Toscana, quello dell’Onorevole Corleone; ed un altro decreto del senatore Milio. Si era dunque verificata una felice congiuntura sanitaria, politica ed amministrativa che avrebbe potuto e dovuto essere la base necessaria per fondare una realtà sanitaria e non più carceraria.
Poi, improvvisamente… tutto si arresta.
Dopo due anni di lavoro così costruttivi la dottoressa inizia a sentire un calo improvviso dell’interesse rivolto a queste importanti iniziative e comincia un arresto del processo che le diventa sempre più insopportabile. Quindi, una volta sistemati nelle situazioni più consone i pazienti che partecipavano al gruppo di psicoterapia che la stessa conduceva nel reparto della “Staccata”, torna a Roma al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dove riesce a metter su la Commissione per il superamento degli OPG. Ma, trattandosi di un posto molto esposto ai venti della politica, una volta compreso che non se ne sarebbe fatto nulla, decide di non fare la fine del Don Chisciotte e di utilizzare in altri luoghi e diversamente la sua esperienza, così come racconterà, a distanza di sei anni, in un bellissimo articolo pubblicato su una rivista di psichiatria e psicoterapia.
Ma del perché le cose siano andate così e come mai si siano persi quei due anni di lavoro di tante parti e di tante persone, nessuno lo ha mai detto.
Nessuno ancora oggi lo dice.
Oggi lo scempio che si vede in televisione o che si legge sui giornali, è il risultato del fatto che non si è continuato ad investire nella ricerca psichiatrica e nella formazione in ambito psichiatrico sanitario di chi deve occuparsi di pazienti così gravi; perché, non è soltanto un problema di strutture e di accoglienza ma soprattutto di cultura e formazione del personale che in quelle strutture lavora.
La cosa più triste rimane che nel passaggio dalla Sanità Penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale si è perso qualche cosa di molto importante: quel passaggio, in effetti, ad un certo punto è avvenuto ma ne hanno usufruito solo medici ed infermieri. I malati sono rimasti là, in un ospedale scomparso, in un ospedale ritornato drammaticamente carcere come ci hanno proposto le orrende immagini del 2010 di Rai Tre.
Questo ci ha raccontato la dottoressa assolvendo il suo compito di fare memoria; ed i nostri figli, studenti del Liceo, se lo ricorderanno.
Ma non è una storia che si trova né sui giornali, né te la raccontano in televisione. Si è ascoltata in un pomeriggio di marzo in un Liceo Classico di Roma.